Chi avesse letto “Infinite Jest” di David Foster Wallace, avrà capito che scegliere “La Grande Concavità” come titolo di un blog personale, non è proprio una mossa che denota solarità ed autostima.Io trovo che sia un titolo bellissimo per un blog, invece. Al di là del fatto che siamo tutti sommersi dai rifiuti, oggi. E non intendo rifiuti in senso ecologico, nel senso della spazzatura.

Parlo dei rifiuti che produciamo noi scrivendo, pubblicando cose che nessuno leggerà mai, in questo grande mare che è la Rete.

Avevamo gridato alla rivoluzione, quando abbiamo iniziato ad intuire le immense potenzialità di Internet. Avevamo gioito perché pensavamo che, finalmente, avremmo avuto la possibilità di dire la nostra e di dirlo a tutti, di pubblicare le nostre opinioni sui nostri argomenti preferiti e di farci ascoltare e amare da quante più persone possibili. La possibilità di essere visibili, la possibilità di essere in mondovisione dicendo le stesse cose che dicevamo al bar con gli amici.

Era una menzogna e ormai ce ne siamo accorti. Non ti ascolta nessuno perché tutti parlano e non si sa più da che parte girarsi. Così i nostri post, con le nostre intelligentissime e originalissime opinioni, sono sepolte nel mare magno dell’indifferente e dell’indistinto del cosiddetto World Wide Web.

E tutto questo assomiglia davvero molto da vicino alla Grande Concavità immaginata da Foster Wallace, quel posto tra il Vermont e New Hampshire, che gli Stati Uniti avevano evacuato e trasformato in una enorme discarica a cielo aperto, invitando poi gentilmente i loro vicini canadesi ad annetterselo al proprio territorio.
E quindi ho deciso di aprire un blog. Aspettandomi niente di più che questo: l’oblio generale. Non fraintendetemi, sarei ben contento di essere letto da tantissima gente, di essere postato, retwittato, ripreso, commentato. Ma so già che non accadrà. Non mi illudo di essere così bravo e non voglio essere così cinico e spietato da utilizzare argomenti e tesi shoccanti e provocatorie solo per attirare l’attenzione.

Quindi, è molto probabile che nessuno leggerà queste righe. Che però, è questa l’ironia, rimarranno comunque. In eterno, probabilmente. E la cosa, lasciatemelo dire, è inquietante e affascinante allo stesso tempo.

Perché abbiamo questo bisogno, incomprensibile eppure urgente, di farci sentire e di rimanere per sempre. È misterioso ma se si guarda bene, non c’è nessuno al mondo che tollererebbe di scomparire, non c’è nessuno al mondo che tollererebbe di essere dimenticato. Siamo tutti così. Reclamiamo il nostro pezzo di esistenza e vogliamo che la gente ci guardi e ci dica che siamo bravi.

Bene, probabilmente anch’io non sfuggo alla regola generale. Ma il vero bisogno, mi pare di poter dire, non è che la gente legga le mie cose. Quello di cui ho bisogno è piuttosto di ascoltare la musica e di scrivere cose sulla musica che ascolto. Questo sì, questo è un bisogno che non sono mai riuscito a cancellare. E allora, siccome oggi c’è la possibilità di rendersi visibili, facciamolo pure anche se, come io credo, non succederà nulla.

È una cosa che volevo fare da tanto tempo e il difficile è stato solo iniziare. Mi piacerebbe che iniziassi anche tu con me.

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